Quand’ero adolescente mi capitava di ricevere una vasta gamma di approcci da strada: commenti a voce alta da lontano o sussurrati all’orecchio mentre ci si incrocia, fischi, occhiate, saluti da parte di estranei che si irritavano se non rispondevo con un sorriso, “complimenti” dei quali presumo avrei dovuto sentirmi lusingata, fino a mani addosso sui mezzi pubblici e altri abusi assortiti.
Col passare degli anni il mio atteggiamento di fronte a questo fenomeno è sostanzialmente cambiato: a quindici anni mi annichilivo nella mia vergogna (io, non l’altro!), mi ammutolivo e cercavo di allontanarmi il più velocemente e senza dare nell’occhio. Oggi ho tutta una gamma di reazioni a schiena dritta che scoraggiano queste persone, o le mettono in difficoltà, e quindi la frequenza degli approcci è molto diminuita.
Ma, per quanto mi siano capitate situazioni nelle quali sfoggiare una reazione che scoraggia o spiazza l’altra persona, ovviamente la difesa principale da questi episodi è la classica che abbiamo tutte: farsi scivolare addosso, lasciar correre per contenere il fastidio.
Come qualsiasi donna che abbia qualsiasi aspetto e si trovi nella fascia d’età tra i 13 e i… boh, 70 anni? 75 anni..? come qualsiasi donna sa, dicevo, questo fenomeno tende ad essere sempre presente, perché per sparire richiederebbe un cambiamento culturale talmente profondo da essere lento, lentissimo… che quasi sembra non arrivare mai. Siano benvenuti tutti i movimenti di consapevolezza, di denuncia, lo smuovere le acque come il #metoo, perché permettono una riflessione trasversale anche in chi, magari, certe cose le scopre per la prima volta.
Per esempio la stragrande maggioranza degli uomini che passeggiano con una donna, non si rende conto che quella stessa donna, quando passeggia da sola, viene spesso fischiata, commentata, salutata, insultata ecc. E quando le succede magari non lo racconta nemmeno, perché non ha nessuna voglia di sentirsi ‘consolare’ da frasi tipo
‘eh, si vede che sei carina!’
‘ma guarda che è un complimento, dovresti essere contenta’
‘anche tu però, se vai in giro con i tacchi/la gonna/la minigonna/il cappotto colorato/il rossetto rosso/così truccata/così scollata…, poi non ti lamentare!’
Per far capire ‘come ci si sente’ a quegli uomini che in sincera buona fede non riescono proprio a cogliere dove stia il problema, di solito faccio l’esempio del Mondo di Maschioni Gay: immagina di vivere in un mondo dove il tuo sesso è, in media, costituzionalmente più debole dell’altro sesso.
L’altro sesso è composto da uomini che, nella stragrande maggioranza dei casi, se volessero aggredirti avrebbero senz’altro la meglio, perché sono fisicamente più grossi. Diciamo un mondo di giocatori di rugby gay, per capirci. Questi uomini hanno più testosterone, più aggressività, più forza e consumano pornografia dove il tuo genere è rappresentato come sottomesso e a disposizione. Quando ti vedono passare per strada pensano che sei un bel bocconcino, che sono liberi di parlarti, salutarti, dirti quanto sei carino, cosa ti farebbero, quanto sei sexy ecc ecc.
Se reagisci male allora si vede che sei nervosetto, troppo serio, e sai cosa ti ci vorrebbe..? Se non reagisci male allora è perché ti piace, lo vedi..? Sei proprio una troietta!
Ecco, di solito il Mondo di Maschioni Gay rende l’idea! C’è pure un film carino a riguardo, Non sono un uomo facile, che ne racconta una versione possibile.
Un’ambito dove si realizza una variante di questa mentalità pervasivamente maschilista, è la dimensione social. Invece dei fischi ricevi commenti e messaggi privati, ma il concetto è lo stesso. Anzi: protetti dalla distanza fisica, questi ‘approcci’ risultano spesso particolarmente disinvolti, tanto che rischio c’è..?
Personalmente tendo al draconiano, e non mi faccio nessuno scrupolo a chiudere le comunicazioni con chi mi ha fatto capire, anche solo da una prima sfumatura, di avvicinarsi a me con quell’intento, e devo dire che l’algoritmo mi premia con veramente pochi messaggi del genere; dove per pochi intendo comunque un tre/quattro al mese.
Ma lo stesso, capita di trovarsi in situazioni delicate dove rilevi una spiacevolezza, ma non ti senti in diritto di allontanarti perché ti pare che davvero l’altra persona non stia facendo niente di male, o meglio: non sapresti motivare la tua irritazione in un modo che sia immediatamente condivisibile da tutti.
Mi viene in mente il conoscente quasi settantenne (70!), del quale ho appena ignorato le mire (‘Pensa, hai proprio l’età di mio padre, che è appena andato in pensione!’), che si lamenta perché non ho risposto prontamente ai suoi auguri di Natale. Mi propone di vederci per farceli di persona, gli auguri, e aggiunge ‘e io che volevo pure farti un regalino…’, con tono ammiccante (sic).
Un altro da qualche parte ha scoperto che faccio trattamenti energetici (facilito anche delle classi), e più volte mi scrive per chiedermi se faccio “massaggi” e di che tipo (…).
O quello che mi ha ripescato sui social dopo vent’anni che non ci sentiamo e mi invia una serie di link a video musicali chiedendomi insistentemente quali mi piacciono e perché. Eccetera eccetera.
L’idea che la ragazza, la donna, sia a disposizione, prende le forme più diverse. Può non trattarsi di una richiesta sessuale, ma di attenzioni, di considerazione. Resto sempre stupita di vedere quante volte dei perfetti sconosciuti mi scrivono messaggi privati per dirmi cose come
‘il tuo profilo mi ha incuriosito’ (mhm… ma davvero?)
‘sai che sei proprio una bella ragazza?’ (toh guarda, non ci avevo mai pensato)
‘ho letto un tuo articolo, mi racconti cosa ti ha fatto cambiare idea sull’essere vegan?’ (cioè, ti ri-racconto le stesse cose che ho scritto nell’articolo in questione..?)
‘sei proprio dolcissima’ (Zzzzzzzzzzzzzz)
e avanti così, tra l’approccio goffo che si perdona, il non conoscere la differenza tra l’essere in confidenza e il prendersi confidenza e l’abuso manifesto.
Morale (nel mezzo di un discorso che potrebbe prendere duemila direzioni diverse!):
Fidati del tuo sapere!
Essere tutti connessi non significa che siamo sempre disponibili per chiunque, ma che al contrario dobbiamo avere ben chiaro a chi dedichiamo la nostra energia e perché, e come ci fa sentire. Se la sensazione di fondo nel sentire qualcuno è ‘che palle’, o peggio, è il momento di dare un’occhiata ai motivi di quella conversazione: per caso ha senso per l’altra persona e non per te? Ti stai bevendo la realtà di qualcun altro, mentre la tua va all’ultimo posto..?
La gentilezza può essere usata per manipolare
Guarda sempre a quali sono le leve che muovono una persona, i motivi oltre le parole. Un senso di fastidio, di obbligo o di disagio sono motivi più che sufficienti per mettere in discussione tutto un rapporto, a maggior ragione se tutto accade sui social, senza guardarsi in faccia.
Il fatto che una persona ti faccia ‘complimenti’, o sia gentile a parole, non significa che sei tenuta a dargli attenzione. L’attenzione è una risorsa preziosa, come il tempo: ne abbiamo un tot ogni giorno e sta a noi decidere come utilizzarla, senza subire le richieste di altri.
Conclusione
Del femminismo e dello stare all’occhio su tematiche legate al genere, al patriarcato e alla cultura dello stupro c’è sempre bisogno, perché le ingerenze e le mancanze di rispetto spesso sono così pervasive che non ce ne accorgiamo nemmeno.
Per accorgertene, e scegliere qualcosa di diverso, parti da te e dal tuo sentire.
Perché sei tu, e ciò che provi, a determinare se e come una persona può entrare nella tua vita, o nel tuo feed di messanger.
Che bell’articolo! Lo condivido parola per parola.
A me talvolta piacerebbe rispondere con immensa arroganza: ehi, ti ho forse dato il permesso di rivolgermi la parola?
Nel migliore dei mondi possibili (non questo), potrebbe diventare la norma. Così come in questo è la norma doversi esprimere per forza sulle donne sconosciute, in rete o per strada.
Ah, in un mondo di Maschioni Gay Giocatori di Rugby, io assisterei con i popcorn a queste scenette…
Vero? 🤣 A me già diverte reagire con espressioni di sconcerto/compatimento a quelli che pensano di mettermi in soggezione con un commento, ma il più delle volte non si sa proprio da che parte cominciare…
Una volta passavo in stazione a tarda sera e un tizio mi avvicina per chiedermi l’ora. Mi fermo, rispondo, e la sua frase successiva è ‘di dove sei?’. Che gli dici a uno così, come glielo spieghi..?
Sono riuscita solo ad alzare gli occhi al cielo e allontanarmi!